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Il tetto del mondo....


Dopo quasi trent’anni dall’ultimo trekking ad alta quota, una salita fino ad un passo oltre i cinquemila metri nello stato indiano del Sikkim, si ricomincia.

Grazie all’iniziativa dell’associazione Sportabili di Predazzo Gabriele, un diciassettenne molto forte nell’arrampicata ed il sottoscritto, che di anni ne ha più di 60,entrambi non vedenti, siamo partiti il 14 ottobre scorso per un’avventura che nell’arco di diciotto giorni ci ha portato ai piedi dell’Everest, accompagnati da Edoardo, capogita, instancabile promotore di iniziative di Sportabili e sempre attento a dare al non vedente il massimo della percezione dell’ambiente attraversato, Stefania, accompagnatrice sempre pronta ad evitarci gli ostacoli e preziosa consigliera negli acquisti di souvenir, e Dino, roccioso piemontese che mi ha guidato per gran parte del trekking riuscendo a infondermi piena sicurezza anche nei tratti più impegnativi.

Il viaggio di trasferimento da Malpensa fino a Katmandu (parola che nella lingua locale significa case di legno) con scalo in Quatar è stato piacevole e e senza intoppi. Fin dall’arrivo il servizio dell’agenzia locale che ha curato il trekking vero e proprio è stato molto efficiente e puntuale con sistemazione in un albergo piuttosto confortevole.

La mia impressione su Katmandù? Una camera a gas a cielo aperto, con le vie perennemente intasate da veicoli di tutti i tipi che appestano l’aria in modo quasi intollerabile e fai presto a capire perché ci sono così tanti venditori ambulanti di mascherine antismog.

Sia a Katmandù che durante il trekking le conseguenze del terribile terremoto dello scorso anno non sono molto avvertibili; è vero che in città alcuni monumenti famosi sono ridotti a cumuli di rovine e cantieri di riparazione o ricostruzione sono sparsi un po' dappertutto, ma la gente vive e si comporta nel segno della più assoluta normalità, forse aiutata da un concetto orientale delle cose materiali molto diverso dal nostro.

Abbiamo vissuto una spiacevole esperienza il giorno successivo al nostro arrivo. Il mattino ci presentiamo belli carichi in aeroporto per prendere il volo interno per Lukla, un piccolo paese arroccato su una montagna dove inizia materialmente il trekking. Purtroppo quello è anche il giorno scelto dal primo ministro per farsi un voletto sul paese con conseguente chiusura fino a mezzogiorno dello spazio aereo; l’arrivo poi di nubi su Lukla, dove si può atterrare solo a vista, ci ha costretto a rimandare al giorno dopo la nostra partenza. Risultato: una giornata passata nella più cacofonica, sporca, affollata sala passeggeri mai incontrata prima, un’esperienza da non ripetere.

Il trekking vero e proprio si snoda lungo una valle che , partendo dai quasi tremila metri di Lukla, risale fino ai piedi dell’Himalaia.

Si attraversano numerosi villaggi abitati tutto l’anno e nei quali si può oggi trovare quasi tutte le comodità a cui noi occidentali siamo abituati, dai parrucchieri per signora alle pasticcerie e bar dove servono espressi e cappuccini, dagli alberghi con doccia calda agli empori di articoli sportivi di marche quasi tutte taroccate, dal hi fi disponibile lungo tutto il percorso alla pizza e pasta alla bolognese offerta in tutti i posti di ristoro. Si procede con l’aiuto di portatori sherpa che si accollano il peso dei nostri borsoni, lasciandoci l’assai meno gravoso onere di uno zainetto da non più di 40 litri.

C’è voluto veramente poco per stabilire l’affiattamento con i nostri accompagnatori, grazie soprattutto alla loro disponibilità nei nostri confronti.

Il percorso è molto vario: nelle prime tappe si attraversano zone impervie e boscose con la mulattiera che presenta discreti saliscendi, fondo piuttosto sconnesso o scalinato molto irregolarmente, attraversamenti di gole su ponti tibetani fatti di cavi in acciaio, le successive sono caratterizzate da tratti molto più aperti e più dolci, salite meno ripide e fondo più regolare mentre le ultime tornano ad essere un po’ più impegnative snodandosi fra letti di fiumi in secca e pietrame instabile.

Una cosa però è comune su tutto il percorso, dal primo all’ultimo metro: la cacca di yak che fatta seccare al sole rappresenta il combustibile principale per gli abitanti alle quote più elevate, dove il legname è praticamente assente. La fatica si fa sentire man mano che si sale di quota . i quattromila metri si raggiungono il quarto giorno, da quel punto dosare le forze e mantenere un passo regolare è il segreto per contenere il rischio del mal di montagna.

Si procede in un ambiente il cui mutare con l’aumentare dell’altezza si percepisce anche senza vedere ; l’atto della respirazione è diverso per la necessità di inspirare più aria rispetto al livello del mare, il passaggio dall’ombra al sole, (a proposito, dopo i primi tre/quattro giorni di trekking con un po' di nuovi abbiamo avuto sempre sole pieno per tutto il resto del viaggio) diventa sempre più netto mentre i suoni in lontananza si fanno più attutiti a causa dell’aria più rarefatta.

Il punto più alto raggiunto è stata la piramide del CNR posta a circa cinquemila cinquanta metri dove abbiamo trascorso una notte prima di imboccare la via del ritorno, procedendo spediti ,con tappe anche di quasi nove ore, verso Lukla , dove abbiamo trascorso una giornata a contatto con i locali.

Il rientro a Katmandù è stato senza problemi e gli ultimi giorni prima del ritorno in Italia li abbiamo spesi facendo i turisti nei dintorni della città usufruendo dei servizi di una guida parlante italiano.

La soddisfazione personale è stata veramente grande, mi è sembrato di ritornare indietro nel tempo e scoprire che non sono cambiato più di tanto.

Per concludere ritengo che questo trekking, così come organizzato e condotto da Sportabili, sia alla portata di ogni non vedente, ed a maggior ragione ipovedente, in buone condizioni fisiche e dotato di capacità di adattamento e forte determinazione. Il sapore di questa esperienza lo si apprezza fin dal primo giorno e pertanto non è rilevante il punto finale che si riesce a raggiungere ma il saper cogliere appieno tutte le sensazioni uniche che questo trekking è in grado di offrire.

Bruno Borrelli

E noi, proprio noi, non solo vediamo il mondo, ma lo guardiamo dai campi di sci sulle montagne più alte, dalle barche a vela su laghi e mari profondi, dai rettangoli di equitazione, dai diamanti di baseball e dai poligoni di tiro con l'arco, dalle piste di pattinaggio e dai circuiti di atletica, e ancora non abbiamo finito!
Non ci servono occhiali per vedere questo mondo meraviglioso, lo vediamo attraverso lo sport!

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