LA MIA PRIMA GARA INDOOR
(30 Gennaio 2011)
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Il 30 Gennaio 2011, una data per me indimenticabile: ho fatto la mia prima gara indoor di tiro con l’arco, uno sport che a me dà tantissimo e mi fa star bene. La gara prevede di tirare 60 frecce suddivise in 2 manches da 30, su un bersaglio distante 18 metri dalla linea di tiro su cui si posiziona l’arcere.
Ma, torniamo indietro di qualche giorno, durante un allenamento in palestra, Armando propone di fare una simulazione di gara: ed è da lì che la mia mente ha preso coscienza di quello che sarei andato a fare Domenica. Durante l’allenamento, tutto procede tranquillamente e, anzi, Armando e Mario, il mio tecnico, dicono che sto andando veramente bene, che se Domenica avessi fatto quei punti, sarebbe stato davvero incredibilmente bello. Ma io, dentro di me, mi chiedevo come sarei andato Domenica; mi chiedevo se sarei riuscito a rifare tutto quello che fino a quel momento avevo imparato.
Per stemperare la tensione, Sabato sera, sono andato a cena da dei miei amici: abbiamo riso, scherzato, mangiato bene, però, una vocina in sottofondo, dentro di me mi ricordava che l’indomani sarebbe stato un gran giorno. E così è stato!
Domenica. Sveglia prestissimo, alle 05:15, perché l’appuntamento con Arnaldo, il nostro terzo tecnico, era per le 07:15 a Gorla, dall’altra parte della città. Sulla metropolitana, col mio zaino dell’arco sulle spalle e una zainetto a mano, mi chiedevo: ma chi me l’ha fatto fare? Provavo una sensazione mista fra paura ed allegria: una sensazione davvero strana. Il viaggio prosegue tranquillo fino alla scuola di Bellinzago Lombardo, luogo previsto per la gara. Sempre con la mente confusa scendo dalla macchina, raccolgo i miei bagagli e seguo Mario fino in palestra: quando varcai la soglia della palestra provai una sensazione di schiacciamento: ormai non potevo più fuggire, dovevo affrontare l’impegno e dare il tutto per tutto.
La mezz’ora seguente è letteralmente volata: ho montato l’arco e, come rito propiziatorio, l’ho accarezzato, gli ho parlato, gli ho fatto suonare la corda, come se fosse una chitarra, e infine, gli ho augurato buona fortuna: io e lui, da quel momento, saremmo stati una cosa sola fino alla sessantesima freccia.
Un’altra preoccupazione che avevo era quella del mirino tattile: sapevo che tutto era a posto, che non mancava nulla, sapevo che Mario l’avrebbe posizionato in maniera perfetta verso il centro del mio bersaglio, ma, comunque, un pensiero era rivolto anche a questo attrezzo, indispensabile per chi non vede e vuole tirare con l’arco.
Mancano ormai 20 minuti all’inizio della gara e arrivano le ultime raccomandazioni di Mario, mentre io faccio gli esercizi di riscaldamento per spalle, braccia e collo. Poi, come dal nulla, si sente un voce autoritaria che ricorda a tutti gli atleti che fra 2 minuti si sarebbero iniziati i tiri: questa voce mi ha scosso dal mio torpore mentale e dal mio relax prima dell’inizio. E, subito dopo, la voce di Mario che mi dice: “E’ ora, prendi l’arco che andiamo! Ricorda che le prime 2 volè sono di prova e puoi tirare quante frecce vuoi, le useremo per finire di posizionare il mirino, quindi, non ti preoccupare se le frecce vanno fuori”! Lì il cuore cominciò ad andare all’impazzata e avevo anche un leggero tremore alle gambe. Poi, 2 fischi: si può andare sulla linea di tiro ed incoccare la prima freccia. Dopo 10 secondi arrivò un fischio solo: si può tirare. Lì non ho più sentito nulla: ero solo con me stesso e il mio arco, cercavo di ricordare tutti i consigli dati prima dell’inizio. Gli unici rumori che sentivo erano quelli di Mario che si avvicinava e regolava finemente l’alzo e il brandeggio del mirino. Dopo 2 minuti 2 fischi indicavano la fine del mio turno, si doveva scendere dalla linea di tiro e lasciare il posto agli altri arceri: eravamo 46 atleti in quella palestra, vedenti e non, tutti insieme; c’erano anche gli organizzatori, l’arbitro e il direttore dei tiri. Era un’organizzazione perfetta, tutti si scambiavano battute o si davano indicazioni affinchè questo meccanismo funzionasse come un orologio, ed io erò lì, come una barchetta in mezzo al mare in tempesta, agivo senza pensare, non riuscivo a rendermi conto del tempo che passava: una sensazione davvero strana.
Tutto ciò è durato fino al termine della prima manche, cioè dopo le prime 30 frecce: mi sembrava fosse passata un’eternità, invece era passata solo 1 ora e mezza. Al termine ero con la bocca totalmente asciutta, l’adrenalina mi aveva letteralmente prosciugato e c’è voluto un bel po’ d’acqua per riprendermi. Uno spuntino veloce, offerto dall’organizzazione, mi ha aiutato a recuperare le energie e un breve relax mi ha dato la spinta per continuare. La seconda manche è andata meglio della prima ho fatto 20 punti in più e anche il tempo è volato. E’ come se mi fossi risvegliato da un lungo sonno. Finite le 30 frecce della seconda parte era arrivato il momento della verità: il conteggio dei punti. Mentre cominciavo a smontare il mio arco, arriva Mario con 2 fogli in mano, erano gli score, uno per ogni manche, li guarda e li riguarda e mi dice: “164, hai fatto 164.” Io non ci credevo, mi sembrava un’assurdità, mi sembravano davvero tantissimi, e invece era vero, erano davvero 162. In quel momento mi sono sentito davvero contento, travolto dalla felicità, tanto che ho preso in mano il mio arco e gli ho detto “Sei un grande”! E gli ho accarezzato la corda pizzicandola come una chitarra.
Voglio ringraziare Armando, Mario, Arnaldo e Loredana che mi hanno sostenuto ed incoraggiato in questa mia avventura. Grazie anche al Gruppo Sportivo non Vedenti Milano che ci mette a disposizione la palestra per allenarci.
Grazie a tutti e grazie di avermi fatto conoscere questo bello sport: il TIRO CON L’ARCO.
Diego Chiapello
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