|
SESTRIERE - La montagna si è fatta silenziosa, quando è stato il loro momento. Giù da 2.346 metri, lungo una pista che non vedono.
|
Da Il Giorno
di Alessandro Fiesoli - (13 marzo 2006)
La libera, la Banchetta, la stessa dei campioni, una vertigine ghiacciata.
Un silenzio dovuto, per permettere a quei ragazzi e a quelle ragazze non vedenti di poter sentire le indicazioni della guida.
Una voce che per loro è anche vista, in quel momento.
Vedere con l’udito. La guida scia davanti, traccia la linea, urla in un microfono collegato a un piccolo altoparlante a forma di marsupio sulla schiena, un’intesa che vuol dire tutto.
Di questa Paralimpiade presentata come una sfida oltre ogni limite ed ogni oltre barriera, la loro discesa ne è stata la conferma più toccante, la dimostrazione di un coraggio straordinario.
Silvia e Lorenzo sono una coppia anche nella vita, non solo in pista. Lei è Silvia Parente, 36 anni, milanese, aveva due anni quando ha perso la vista, una laurea in psicologia, un lavoro di programmatrice in un’azienda informatica.
«Sciare mi dà un senso di benessere, sento il vento e sono felice, mi sento libera».
Lui è Lorenzo Migliari, la guida, quarantenne bolognese, con una casa a Lizzano Belvedere e la passione per lo sci.
Si sono conosciuti, racconta lei, dodici anni fa a Piandicavallo. «E’ nato un feeling in pista e fuori», conferma lui. Si allenano al Corno alle Scale, sulle piste di Tomba.
«Ormai là ci conoscono tutti, ci trattano benissimo, nessuno ci investe con gli sci», scherza lui.
Terzi, medaglia di bronzo, la prima per l’Italia in queste Paralimpiadi.
Terzi su sei coppie al via.
Quella pista, quella velocità, quelle curve. Come si fa? «Le do il ritmo, la cadenza, pa-pa-pa-pa, lei mi segue, alzo il tono della voce ad ogni cambio di pendenza, un ‘op’ lungo per le curve larghe e un ‘op’ corto per il raggio stretto», il codice della guida, spiegato da Lorenzo. Il senso della neve trasmesso a Silvia dalla sua voce.
«E pensare che questa libera non la volevo fare, avevo paura, non riuscivo a rallentare su tutto quel ghiaccio, mi piace molto di più il gigante», spiega lei, ma l’hanno convinta a provarci.
Dodici anni dopo un altro bronzo paralimpico, a Lillehammer, ha ricevuto anche la telefonata di congratulazioni dal Quirinale.
Per farsi coraggio, Silvia ha gareggiato con due occhi di tigre disegnati sulla sua maschera.
«C’era vento, lassù in cima, ogni tanto perdevo la voce di Lorenzo, ma amo il vento e non mi sono fermata, ho continuato».
E’ anche una brava velista, Silvia, sogna una Coppa America, gioca anche a baseball, con la palla sonora.
Questa è Silvia, medaglia di bronzo e molto di più, non vedente ma con gli occhi di tigre.
|