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Urla nel vento, il senso di Silvia per la neve
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Da Avvenire
di Carmen Morrone - (14 marzo 2006)
«Grazie, Silvia, per aver dato all’Italia la prima medaglia nello sci alpino a Torino 2006».
L’abbraccio tra l’ex fuoriclasse e Silvia Parente, la discesista bronzo nella libera non vedenti, è l’immagine più bella della prima medaglia azzurra alle Paralimpiadi. «Un podio nell’alpino non era ancora arrivato - sottolinea Tomba, pensando al bilancio fallimentare di Rocca & C. all’ultima Olimpiade.
Silvia è stata bravissima, ma tutti gli atleti dei Giochi Paralimpici meritano un elogio speciale.
Lo sci è già di per sé difficile, immaginiamoci cosa diventa quando si devono superare anche difficoltà di altro tipo».
La storia di Silvia Parente e Lorenzo Migliari, il suo fidanzato nonché la sua guida in gara, merita di essere raccontata.
«Non volevo neppure iscrivermi…», confessa all’arrivo una raggiante Silvia, baciata e abbracciata da Lorenzo.
Lei milanese, lui di Bologna, si sono conosciuti ad un Capodanno di 10 anni fa a Piancavallo. Lorenzo sciatore normodotato, Silvia atleta che governa il suo corpo con tutte le sensazioni meno quelle visive.
Un feeling tra amici che cominciano a sciare insieme. Ed ecco che nasce la coppia, prima professionale e poi nella vita.
A Nagano nel 1998 l’esordio: 4° posto nello slalom.
E domenica il medagliere paralimpico si è arricchito sulla pista del Sestriere davanti a centinaia di scatenati fans. «La Silvia», come la chiamano quelli del Gruppo sportivo non vedenti Milano, eccelle nello slalom. «La discesa la provo quando me la sento». Intanto con questa modestia è l’unica atleta donna non vedente a buttarsi giù da una pendenza del 50% a quasi 100 km l’ora.
Doverosa una precisazione. Gli atleti non vedenti gareggiano insieme agli ipo-vedenti.
Per colmare la disparità c’è un sistema di coefficienti che si aggiungono al tempo di gara e che vanno a determinare il risultato finale.
Chi è ipovedente, quindi, ha un coefficiente che alza il suo tempo. Ed in gara c’era un «nemico» in più: il vento. Che si porta via i suoni e la voce, sono gli unici modi in cui Silvia e Lorenzo comunicano in pista.
«Io scio davanti e dò la mia posizione urlando dei “pa, pa, pa” - spiega Migliari -. Lei in base al suono capisce dove sono, così accelera o rallenta. Poi, urlando brevi parole, le indico che comincia la pendenza, che deve curvare stretto o largo. È un vero linguaggio che usano tutti gli atleti non vedenti».
A Migliari non bastano due polmoni, ma soprattutto deve avere sempre una voce stentorea.
«Non bisogna perderla, se no non fai la gara. In ogni caso ci si aiuta con degli amplificatori, anche se in piena velocità non riesci a sentire neppure quelli. E qui entra in gioco la perfetta conoscenza della pista che acquisisci in allenamento e il tuo intuito della direzione».
E Silvia, uno scricciolo di 37 anni, aggiunge ironica: «Penso di avere il senso della neve.... L’obiettivo, ora, è abbattere anche le barriere della vita per chi è disabile. Basta poco per migliorare la nostra quotidianità: i sensori acustici alle fermate dei mezzi pubblici e agli attraversamenti pedonali, per esempio, aiuterebbero chi non ci vede o vede poco».
È finita in lacrime, invece, la seconda prova olimpica di Melania Corradini: l’alfiere azzurro alla cerimonia inaguruale, sesta in discesa, è caduta ieri alla penultima porta del SuperG. «Se avessi sbagliato nella parte alta sarei meno amareggiata, invece, guarda cosa ho combinato. Ci riproverò, ma le Olimpiadi a casa arrivano una volta nella vita...».
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