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Dieci anni di passioni
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Da Il Corriere Dei Ciechi
di Angela Bellarte - (1 luglio 2007)
La signora teneva in grembo il guantone di cuoio, era ancora morbido e pulito, dopo tanto tempo.
"Ma zia, non ti sei fatta male quando ti sei fracassata il naso sulla testa della tua compagna di squadra?". La ragazzina guardava un po' sconcertata e un po' perplessa il bel nasino della zia, ancora perfettamente in forma. "Un male cane, tesoro - sorride la zia. "Ma allora perché continuavi a giocare a baseball?".
"Tempo!". Grida una voce, la difesa si rialza, raddrizza la schiena e si rilassa, il battitore appoggia la mazza e lascia ricadere al fianco la mano che tiene la pallina. Il motore dell'aereo (per colpa del vicino aeroporto ne passano un sacco) copre tutti i suoni, le voci dei giocatori che si scambiano battute, i campanelli che tintinnano dentro le palline bucate. E' un allenamento, nel Diamante accanto all'aeroporto, e si vede che manca la tensione della partita; ma l'impegno c'è già tutto. In cinque sono in difesa, e orecchie dritte appena il motore si perde nelle nuvole, i giocatori dei Lampi e dei Tuoni, le due squadre di Milano, smettono di sognare paesi lontani e si concentrano di nuovo sulla pallina che chissà dove arriverà.
Forse il battitore riuscirà a spedirla in testa a quel giardiniere che falcia l'erba proprio adesso, così non fa sentire un accidente.
Lo sguardo della signora ritornò dai ricordi del passato e rientrò nella stanza.
"Eh, tesoro, ma tu non sai! Quelli erano altri tempi! A noi piaceva uscire di casa, ce ne andavamo col nostro bastone bianco in giro per la città e ne combinavamo di tutti i colori! Ci piaceva ridere e fare le cose insieme. Il baseball era una grande occasione! Un giorno qualcuno ti diceva: "Dai, vieni una volta agli allenamenti, tanto per provare", tu quel giorno non avevi niente da fare e ci andavi. E restavi incastrato. Incontravi un allenatore che ti abbracciava come se ti conoscesse da sempre e si divertiva più di noi a insegnarci come si tiene la mazza e a non darcela sulle dita ogni volta che cercavi di battere...".
"Aiuto! Ma a te è successo? Ma non fa male?". La ragazzina si guardava le dita dalle unghie rosicchiate, pensando a galassie di stelline che riempivano il fumetto con su scritto "ahi!".
"Bè, in effetti a me non è mai successo... però so che a uno dei ragazzi è capitato di tirare la mazza sulla testa del Presidente. Sai, lui era lì che provava la battuta e il capo si è avvicinato senza avvertire". Un fremito scosse le piccole spalle, la signora si asciugò le lacrime dagli occhi con un fazzoletto ricamato.
La ragazzina aspettò educatamente che la zia smettesse di soffocarsi dal ridere, poi le allungò un bicchiere di tonica schweppes, almeno forse così avrebbe ripreso fiato e continuato a raccontare. Ci volle un attimo ma la zia riprese: "Non è facile da spiegare, vedi, tesoro. Adesso si chiudono tutti in casa, ed è una cosa terribile! Per parlarsi da una stanza a l'altra usano le chat. Ma noi ci urlavamo da una parte all'altra del campo, ci piaceva prenderci in giro e incoraggiarci, alla fine di una partita o di un allenamento ci davamo consigli su come togliere le macchie rosse di terra e verdi di erba dai pantaloni bianchi della divisa.
Però era un gioco che ti prendeva proprio! Pensa che sempre quello della mazza, 4 giorni prima del matrimonio, ha voluto assolutamente venire alla partita. A momenti finisce a spiaccicarsi contro la rete di protezione! Pensa come sarebbe stato bello, davanti all'altare, con la griglia stampata sulla faccia!".
"Ma zia, è terribile! Ma era così pericoloso? Insomma, che cos'è che vi piaceva tanto di questo sport?".
"Oh, intanto eravamo tutti amici. Quando cominciavi magari eri un po' spaesato, il classico pulcino bagnato. Ma poi ti svegliavi in fretta! C'erano un bel po' di cose da imparare: roteavi la mazza decine di volte che il giorno dopo ti chiedevi perché ti facevano male le braccia e poi ti ricordavi...Quando riuscivi a colpire la stupida pallina ti sentivi più potente di Dare Devil! Ti dicevano di correre su una striscia di terra rossa e di fare attenzione perché se i piedi arrivavano sull'erba voleva dire che eri fuori e dovevi rientrare. E allora ti chiedevi: rientrare? da che parte? E il "dritto" diventava sempre più una convenzione, invece che un dato di fatto. Eppure imparavi anche questo: suonava tutto, i campanelli dentro le palline, le basi, e tu dovevi trovare tutto, le palline, le basi... E ti chiedevi: perché? Perché è bello! Ecco, quando riuscivi a colpire la battuta e a fare qualche difesa ti gonfiavi come un riccio e ti venivano gli occhioni grandi come quelli di Pocaontas dalla felicità. Gli amici della squadra ti incoraggiavano e tu eri contento di essere venuto a giocare la partita invece che andare al mare".
"Ma sembra molto faticoso. Non c'erano cose più rilassanti? Magari meno difficili e pericolose?".
"Ahh, ma noi facevamo un sacco di cose: qualcuno andava a cavallo, qualcuno andava in barca a vela, poi era arrivata questa cosa dello Show Down che ha rischiato di soppiantare il Baseball. In effetti era molto divertente e, come dici tu, meno pericoloso e faticoso. Ma il Baseball ha resistito ancora, altroché! Te l'ho detto che solo a Milano abbiamo fatto due squadre, e avanzavano ancora giocatori? E poi era bellissimo quando andavamo all'estero a far vedere ad altri ragazzi come giocavamo, perché si potessero divertire anche loro. Gli spiegavamo le regole, le partite da 7 inning, con l'alternanza dei turni di difesa e di attacco, la faccenda della base elettronica sulla prima e gli allenatori che ti chiamavano sulle altre basi battendo due palette, era proprio come il Baseball normale, solo con qualche accorgimento. A Cuba si sono appassionati tantissimo! E quando facevamo le dimostrazioni in Italia era sempre una festa quando coinvolgevi qualche amico, gli mettevi una mascherina e lo mettevi in base a battere. Avessi visto come erano intimoriti all'inizio, e poi come ci prendevano gusto quando colpivano la pallina e riuscivano anche a correre alla base successiva solo seguendo i suoni guida! In un certo senso così ci capivamo tutti di più, loro toccavano con mano le nostre difficoltà, noi ci immedesimavamo nelle loro paure e incertezze. E ci univa molto. Durante le partite incontravi gli avversari che per la maggior parte erano amici di vecchia data che almeno avevi occasione di rivedere, e qualunque fosse il risultato alla fine eravamo tutti a tavola insieme a dire stupidate".
"Ecco, questa cosa me la dici sempre, o prima o dopo eravate sempre a tavola da qualche parte! Ma non è che era tutta una scusa per abbuffarvi in tanti posti carini?".
La signora ridacchiò, lanciando un'occhiata complice alla nipote. "Quello era sempre un momento molto atteso! Però guarda che era una cosa molto seria! Qualcuno si arrabbiava proprio tanto se si giocava male e non si vinceva, c'era da giocare per lo Scudetto, poi la Coppa Italia, e poi anche l'All Star Game con i giocatori migliori delle 6 squadre. E il Torneo di fine stagione dove tutti erano contro tutti e alla fine tutti erano con tutti, a volte si mischiavano i giocatori per fare squadre aggiuntive, l'abbiamo fatto creando una squadra tutta di donne, con le maniche e i berretti rossi eravamo bellissime! E gli allenatori che ci dedicavano tanto del loro tempo e alla fine ci facevano i complimenti per l'impegno e i risultati ottenuti. Eh sì, ti sentivi parte di qualche cosa, forse era questo che ci affascinava".
La ragazzina ripassò mentalmente tutta la faccenda, la mazza di metallo da non darsi sulle dita, la pallina con i campanelli da colpire o da recuperare se eri in difesa, le corse affannose sulle basi dove finivi in braccio all'allenatore che se non era abbastanza grosso da sopportare l'urto finivano tutti a terra. Immaginò ancora la zia avvolta da una nube di terra rossa mentre si tuffava in una eroica difesa seguendo i campanellini che correvano via veloci. Si fissò per un attimo le scarpe e poi sorrise alla zia.
"Certo che dovevate essere proprio bravi!".
"Oh, ma potevano giocare tutti. Non tutti erano bravi alla stessa maniera, qualcuno era un vero talento, anche se era morto di fatica non cedeva di una virgola e riusciva a sentire delle palline in difesa che sembravano invisibili. Qualcuno addirittura si è comprato la mazza e si allenava contro il muro di casa. Qualcuno un po' appesantito dalla pancetta del trentenne rotolava di base in base… Potevano giocare tutti, e quello che non sapevi fare lo imparavi. Qualcuno era così poco abituato a correre che all'inizio correva praticamente sul posto. Poi ha imparato. Poteva solo volerci un po' più di tempo che per un altro. Bastava volerlo fare. E fino a che uno si divertiva, giocava".
La ragazzina si mordicchiò un'unghia e finì la schweppes della zia. Poi appoggiò il bicchiere e assaporò un raggio di sole che entrava dalla finestra e le accarezzava il viso.
"Zia, mi presti il tuo guantone?".
La ragazzina uscì in cerca dei vecchi compagni di giochi per mostrargli un gioco nuovo. La signora restò con i gomiti appoggiati al tavolino delicato, con gli occhi di nuovo a qualche anno prima. Com'è che finivano tutte le stagioni? Ah, ecco: "Zitti tutti, che la Pamela legge le pizze!".
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