Quando il limite è una sfida lanciata
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Da Il Cittadino Di Lodi - (2 agosto 2008)
CORNEGLIANO LAUDENSE
Cristiano Tedoldi è un lodigiano che si è laureato campione italiano di baseball con la squadra di Milano dei "Thunder's five".
La competizione è particolare perché le squadre che partecipano al torneo, rappresentative delle città di Bologna, Ravenna, Empoli, Firenze e Milano, e nelle quali militano sia maschi che femmine, hanno fra i loro giocatori atleti non vedenti. Si tratta dunque di un campionato particolare, in cui le regole sono quelle generali del baseball, la tensione agonistica è assolutamente identica a quella dei match tradizionali, ma occorre solo una piccola accortezza: limitare il tifo, perché il non vedente deve sentire in modo nitido il suono della pallina volante e orientare la propria corsa seguendo i segnali acustici provocati dagli allenatori con apposite palette. Il neo campione tricolore Cristiano Tedoldi ha 39 anni e vive a Cornegliano Laudense, lavora all'Inps ed è un single impenitente («Sì, ma alla vecchia maniera, non come quelli di oggi: sto solo aspettando di trovare quella giusta. Come maturità mi sento pronto al grande passo, sì, il matrimonio, ma finché non trovo l'anima gemella... mi diverto»). Tedoldi è un uomo abituato a dire quello che pensa e con molto garbo promuove un appello ai disabili che si rinchiudono in casa e non accettano di lanciare una sfida, innanzitutto a se stessi, e poi a chi crede che nella società le diversità, una volta sorte, devono avere il crisma della perennità.
«Lo sport aiuta a migliorare e a costruire nuove relazioni: l'isolamento è brutto per tutti» accettare e cercare di condurre esistenze normali senza precludersi proprio nulla». buoni? «Ottimi. Loro devono essere anche più concentrati di noi; in partita è facile che avvenga qualche screzio, subito superato a fine match. D'altra parte gli allenatori sono cinque e ciascuno di loro dice la propria: alla fine il giocatore deve sentire soltanto se stesso, la propria coscienza, le proprie convinzioni. Questo modo di misurarsi con se stessi diventa allora esaltante».
È vero che le partire si giocano anche in città che non hanno formazioni che partecipano al torneo? «Sì, questo accade veramente. Ma c'è una ragione: giochiamo in luoghi differenti per fare in modo che lo sport per i disabili sia conosciuto da più gente possibile: un modo per proporsi e per stimolare qualunque portatore di handicap a riflettere sulle proposte che lo sport offre». Vi aiuta l'Unione italiana ciechi? «Abbiamo un profondo legame con questo ente, ma credo che la società sportiva sia autosufficiente: Anche a noi occorrerebbe uno sponsor». I Thunder's five sono di Milano: «Altro che! Io vorrei sapere quanti sono effettivamente i non vedenti, totali, parziali, ipovedenti, nel Lodigiano. Mi piacerebbe conoscere se c'è ancora qualcuno che si definisce cieco e in quanto tale impossibilitato a fare qualunque cosa. Posso assicurare che lo sport aiuta a migliorare se stessi, a superare i propri limiti, a emanciparsi e a costruire nuove relazioni. L'isolamento è brutto per tutti, sani e meno sani ma i limiti fisici possono essere superati, prima accettandoli e poi cercando di colmarli, senza precludersi nulla». Nel tuo essere non vedente in cosa ti ha aiutato lo sport? «Nei movimenti; come nell'avere più sicurezza in me stesso; nei miei comportamenti fisici, perché ho acquisito una maggiore autonomia, una disinvoltura che magari prima non avevo. Ho visto persone che non sapevano correre, avevano problemi seri di orientamento: grazie all'attività fisica hanno imparato a correre e ne hanno tratto giovamento nella postura». Prima sciavo, sempre con il gruppo sportivo non vedenti Milano. Mi hanno fatto la proposta di allenarmi con loro. All'inizio ero perplesso, ma l'accoglienza e l'interesse per il gioco del baseball mi hanno fatto subito superare le inìziali titubanze».
Le regole del "gioco sono diverse rispetto a quelle tradizionali? «( Guarda, si batte, si corre e si difende, come nel gioco tradizionale, quello conosciuto da tutti. Poi ci sono, lè basi sonore. In seconda e in terza base devono starci i vedenti: sono loro a battere le palette per farci orientare, quando corriamo. Da terza base a casa base corriamo da soli: dritti. Dobbiamo essere bravi, come non vedenti, a sviluppare le abilità personali, per arrivare alla meta». Difficile? «No, ma ci vuole molto allenamento: per chi non vede, correre mantenendosi dritti non è semplicissimo. Ma poi s'impara. Cresce anche l'autostima, ed è molto positivo». Dove vi allenate? "Al centro sportivo Saini, una struttura all'avanguardia. Io sono l'unico lodigiano, poi ci sono atleti che vengono da Brescia, da Bergamo, da Abbiategrasso, e quattro sono i milanesi doc».
Anche nei Thunder's five vi sono donne? «Sì, sono tre le giocatrici non vedenti: sono molto brave e tra noi c'è un rapporto forte, siamo una vera squadra». Non è che proprio nello sport trovi la famosa anima gemella? «C'è tempo, c'è tempo...».
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