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L’oro di Pechino
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da Luce su luce
di Marco Rolando - (9 novembre 2008)
Lo straordinario successo del canottaggio azzurro alle Paralimpiadi 2008, raccontato da due protagonisti.
“È stato un attimo, un lampo che ti attraversa la mente. Alessandro, il nostro timoniere, ci parlava con voce bassa, perfettamente tranquilla. Sentivo che diceva: ‘Ok, continuate così, avanti...’. In quell’istante ho capito. Ho capito che forse ce l’avremmo fatta, che il sogno si stava per realizzare. Sai, dopo mesi passati sulla barca, dopo centinaia di chilometri vissuti gomito a gomito allenandosi sul pelo dell’acqua, dopo aver condiviso speranze e delusioni, si era instaurata fra noi una specie di telepatia. E così è bastata una parola, pronunciata con calma assoluta, per dire tutto: eravamo in testa e nessuno ci avrebbe più raggiunto.
Ho continuato a remare tenendo lo stesso ritmo, perfettamente concentrata. Abbiamo tagliato il traguardo lasciandoci i nostri inseguitori, la squadra statunitense, a una distanza di una barca. Per chi non conoscesse il nostro sport, preciso che equivalgono a parecchi metri. Una vittoria netta insomma”.
Così Graziana Saccocci, atleta del Gruppo Sportivo Dilettantistico Non Vedenti Milano Onlus, descrive gli ultimi, magici istanti di quei tre minuti e trentatré secondi durante i quali la squadra italiana di canottaggio ha conquistato l’oro alle Paralimpiadi di Pechino. Graziana parla con entusiasmo incontenibile e quasi si ha l'impressione che gli occhi le brillino di felicità, anche se da tempo non li può utilizzare per vedere. Ci pensano i suoi gesti, le sue parole, la sua voce a esprimere quella soddisfazione piena, totale, di chi ha appena realizzato un sogno.
A poche ore dal rientro da Pechino è venuta a trovarci all'Istituto dei Ciechi, per raccontarci le emozioni e i pensieri di questa straordinaria impresa. Con lei c'è anche il compagno di squadra Daniele Signore. Entrambi hanno gareggiato con una mascherina nera sugli occhi, poiché il regolamento della loro categoria prevede che gli atleti con minorazione della vista si affrontino alla pari, senza nessun eventuale residuo visivo. Daniele, infatti, è ipovedente dall'età di diciannove anni.
Graziana e Daniele hanno due storie diverse da raccontare, accomunate dalla passione per lo stesso sport e da una grinta fuori dal comune.
Facciamo un passo indietro. È l’inizio dell’estate 2004 e Graziana viene contattata dal presidente del Gruppo sportivo non vedenti Francesco Cusati: “Ti va di entrare nella Nazionale di canottaggio italiana? Cercano un'atleta per fare i Mondiali di Spagna”.
Graziana, sentendo queste parole dall’altra parte del telefono, lì per lì pensa a uno scherzo. Pur amando lo sport, non ha mai preso in mano un remo né ha la vaga idea di come sia fatta una barca da canottaggio. Ma è una tipa tosta e accetta di provare.
Si presenta alla Canottieri di Gavirate, sul Lago di Varese ed è lì che scatta la scintilla. Il vento, la natura, l’acqua e la sensazione di libertà che dà la barca la conquistano subito. Appresi i primi rudimenti, inizia ad allenarsi e dopo poche settimane partecipa ai Mondiali di Spagna. Lì si sente letteralmente travolta dalle emozioni e, nel pieno dello sforzo, sbaglia una vogata, perdendo letteralmente il remo. La squadra si riprende in extremis, ma l’imbarcazione azzurra si posiziona al dodicesimo posto… su dodici concorrenti. Sono ultimi.
“Sì, ma almeno siamo rimasti in gara – tiene a sottolineare con la solita grinta - cosa si poteva pretendere da una che aveva iniziato un paio di mesi prima?”.
Dopo un numero imprecisato di vogate (tante), estenuanti sedute in palestra e centinaia di chilometri percorsi sulle acque del Lago di Varese, Graziana acquisisce esperienza e diventa “capovoga” dell’imbarcazione azzurra. Ora è pronta a partecipare all’appuntamento che ogni atleta sogna.
L'avvio al canottaggio di Daniele è altrettanto fortuito. Accade quattro anni fa. Da poco si è trasferito a Cremona dal Sud Italia, per lavorare come operatore telefonico alla Provincia. Prima faceva il barista e il DJ nei locali e il tempo libero lo utilizzava per riposarsi dalle fatiche del suo lavoro notturno. L'attrazione per lo sport ce l'ha sempre avuta, però come tifoso.
“Anni fa non ero un grande sportivo – racconta - giocavo a calcio in difesa, ma facevo solo danni. Erano le partite del genere ‘ammogliati contro scapoli’. Facevo una partitella e ne uscivo distrutto, con acciacchi da tutte le parti. In quel periodo ero anche fumatore. Poi andavamo a mangiare tutti insieme e finiva lì. Da quando ho la fortuna di lavorare in Provincia, ho trovato la tranquillità necessaria per affrontare lo sport a un livello più alto”.
È stato Luigi Bianchetti, consigliere provinciale dell'Unione Italiana dei Ciechi e degli Ipovedenti, a suggerirgli di provare il canottaggio. All'inizio anche Daniele fatica molto, ma poi ci prende gusto:
“Provavo, provavo, provavo e poi la cosa ha iniziato a piacermi. Abbiamo fatto le prime gare e sono arrivati anche i primi risultati”. Come dappertutto ci sono gli alti e bassi e lo scorso anno Daniele è in procinto di mollare tutto. È la sua vecchia amica Tamara, già campionessa, a convincerlo a tenere duro e a tentare i Mondiali con i quali guadagnarsi la qualificazione alle Paralimpiadi. “Mi sono detto che potevo provarci e alla fine… ho ottenuto il biglietto per volare a Pechino!”.
Ed eccoci a quel 11 settembre 2008, giorno fatidico della finale di adaptive rowing nella sezione “4 con”. Siamo allo stadio cinese ed è una radiosa giornata. Sull’imbarcazione italiana siedono Paola Protopapa, Daniele Signore, Luca Agnoletto, Graziana Saccocci e il giovane timoniere Alessandro Franzetti. Dopo mesi di preparazione è arrivato il momento tanto atteso. Non si può sbagliare.
L'acqua riflette l’immagine del pubblico che occupa tutti gli spalti, l'organizzazione è perfetta e le imbarcazioni olimpiche sono “veri e propri gioielli”. Un giro di riscaldamento e poi tutti pronti sulla linea di partenza, ognuno profondamente concentrato. La tensione è massima. Poi, come una liberazione, arriva il segnale di partenza.
Il resto è l’adrenalina di quei fatidici 3 minuti 33 secondi 13 centesimi, in cui la squadra italiana esprime tutta la sua classe, un mix di tecnica e intelligenza coltivato in mesi di duro lavoro. Gli azzurri riescono a imporsi sulle altre cinque barche avversarie, nonostante siano condotte da atleti più giovani e più prestanti dal punto di vista fisico.
“Era come stare in un’arena con sei leoni” ricorda Graziana “Noi eravamo i più vecchi. Pensa che insieme totalizziamo 191 anni! Neppure si può dire che siamo dei marcantoni dal punto di vista atletico”. La vittoria - suggerisce Graziana - è frutto di un grande lavoro di squadra e soprattutto di una perfetta tecnica di vogata, affinata con i consigli di allenatori d'eccezione. A seguire i nostri c’era il gota del canottaggio mondiale: da Renzo Sambo (oro alle Olimpiadi per il Messico 1968) a Piero Poli (oro a quelle di Seul 1988) fino a Paola Grizzetti (finalista a Los Angeles 1984).
Ma la fatica, quella che ti lascia steso a terra, incapace di spiaccicare parola, c’è stata. Noi, che non eravamo là, possiamo solo immaginarla guardando la foto di arrivo, dove gli atleti azzurri sono riversi sulla barca, quasi mancasse loro la forza di respirare e di gioire.
Recuperato il fiato adesso Graziana e Daniele possono mostrarci sorridenti la loro medaglia (pare non se ne separino mai!) e farci riassaporare la gioia di quei momenti nell’intervista che segue.
Graziana, quanto è stato importante l'affiatamento nel gruppo?
Graziana: “Direi fondamentale. Noi ci conoscevamo tutti prima della selezione e questo è stato un vantaggio. Per contro siamo tutti adulti, e quindi più difficili da allenare, poiché dopo una certa età, si sa, si è un po' meno... diciamo malleabili. In barca bisogna armonizzare quattro teste differenti, quattro disabilità differenti, quattro remate differenti. Paola rema con una mano sola, perché ha perso un braccio in un incidente d'auto. Noi, come non vedenti, abbiamo bisogno della sensazione di avvertire i movimenti della barca e ci muoviamo a modo nostro. Luca Goletto, terza voga, ha problemi alle gambe dal ginocchio in giù.
Con queste diversità fisiche è stato necessario un grande lavoro di cesello da parte dei nostri allenatori: modifiche continue, dall’altezza degli scalmi alla pesantezza del remo fino alla lunghezza delle pedaliere. Alle modifiche tecniche si aggiungevano quelle per ‘regolare’ i nostri stati d’animo, per trovare la giusta armonia. Questa è la cosa più difficile! Per dare la palata in modo coordinato, con la stessa intensità senza far girare la barca, bisogna essere una cosa sola. Ti faccio un esempio: durante la gara a un certo punto non ho ‘trovato’ l’acqua. La barca si è scomposta ma il mio compagno Luca, dietro di me, ha visto che alzavo la spalla e ha corretto immediatamente l’errore. Si può sbagliare, perché le cose non sono mai perfette, ma se si è costruito un gruppo affiatato e solido, gli errori vengono corretti subito. È fondamentale creare feeling, intesa, fiducia”.
Quanto era forte il desiderio di vincere?
Graziana: “Io la medaglia la volevo, la volevo, la volevo! Al villaggio olimpico c’era un muro con queste tre medaglie scolpite. I miei compagni hanno voluto toccare quella dorata pensando che portasse fortuna. Io no, io dentro di me dicevo ‘questa me la porto a casa!’. Sono pensieri così, che scaturiscono da un desiderio che viene da lontano e si concretizza giorno dopo giorno. La volontà si rafforza e ti permette di dare il meglio di te. L’idea che ce la potevamo fare l’ho maturata soprattutto lo scorso anno, quando abbiamo vinto al Mondiale di Monaco. Avevamo remato bene, sapevo che potevamo lavorare per qualcosa di più concreto, una gara bella e combattuta”.
Daniele: “Il desiderio di farcela era forte anche per me, ma se devo dire la verità, durante lo scorso anno c'è stato un momento in cui volevo mollare tutto. Tamara, una mia carissima amica oltre che una grande campionessa, mi ha convinto a tentare i Mondiali di Monaco. ‘Non ti costa niente’ diceva ‘Se ti va bene partecipi alla Paralimpiadi e se ti va male fai il Presidente della Associazione sportiva di Cremona’. È andata bene!”.
Qual è stato il momento più intenso?
Graziana: “Mi è rimasta impressa la partenza. Nell’allenamento pre-gara di riscaldamento non riuscivo a sentire più le gambe. Sarà stata la tensione, chi lo sa. Poi ti vengono tutte le paure del mondo, di non aver mangiato a sufficienza, di non stare bene o cose del genere. Ma alla partenza passa tutto. Quando sei seduto in attesa del via non pensi davvero più a niente. Mi sono tornati in mente i consigli dell’allenatore di Gavirate su come partire: ‘Le prima palate devono essere veloci, con il remo che sta in acqua il più possibile…’. Ho eseguito alla lettera e alla fine credo di aver fatto una delle migliori partenze della mia vita”.
Daniele, per te è stata dura allenarti?
Daniele: “È stato un sacrificio, però è stata una cosa che ho voluto io, perché volevo mettermi in gioco. Non me lo ha detto il dottore. Ho rinunciato a tanto ma ne è valsa la pena. Finalmente posso dire: io c’ero!”.
Parlaci dell'associazione di cui sei presidente.
Daniele: “Si chiama Atletica-mente e promuove la pratica di diverse discipline: dalla ginnastica correttiva al nuoto, dal ballo latino americano fino al tandem e al canottaggio. È nata come associazione rivolta ai disabili, ma in realtà il nostro lavoro riguarda tutti. Organizziamo gare in tandem, c'è persino una 24 ore in bicicletta. Ma a me non piace la parola disabile. Nello sport, come nella vita, io dico sempre che ognuno è abile a modo suo.
Se in passato c'erano poche occasioni di fare sport, oggi la situazione è migliorata, c'è una mentalità più aperta e una maggiore sensibilità al sociale. Penso che ognuno abbia un dono e bisogna fare di tutto perché venga fuori. Gli esempi di chi ha trovato lo stimolo per esprimere le proprie qualità ci sono. Al di là della medaglia di Pechino, posso dire che la canoa mi ha permesso di tirare fuori la concentrazione, la forza d’animo. Si tratta semplicemente di trovare il proprio campo d'azione.
Conosco tanti ragazzi che si sono infortunati sul lavoro o in altre circostanze e che sono andati in crisi. Occorre evitare di chiudersi in casa, cosa che fanno certi genitori con i figli, magari spinti da un sentimento di vergogna o più semplicemente perché non hanno la pazienza di portarli agli allenamenti. Il genitore deve averne tanta di pazienza. Nel canottaggio ti devi allenare cinque giorni su sette e il genitore deve essere disposto anche lui a fare sacrifici”.
La tua vita privata oltre il canottaggio?
Daniele: “Ho un figlio di tredici anni che vive a Lecce con la mamma. Si chiama Andrea e va molto orgoglioso per le vittorie di papà. Fa lezioni di ballo. La passione per la musica e per il ballo l’ha presa da me”.
Obiettivi per il futuro?
Daniele: “Il mio futuro lo vedo come promotore sportivo. Come atleta vado avanti fino a che non mi tirano via a forza dalla barca. Ma quando smetterò non ne farò un dramma: semplicemente mi dedicherò ad altro. Ho fatto il corso per diventare dirigente sportivo e adesso mi manca solo il terzo livello. È questo il prossimo traguardo”.
Cosa significa questa vittoria?
Daniele: “È una sorta di riscatto per tutte le difficoltà che ho incontrato nella vita. Ne vado orgoglioso. Come altri nella mia condizione ho avuto momenti difficili. A diciannove anni ho subito un danno alla vista e sono caduto nella disperazione. Mi sembrava di cancellare un pezzo della gioventù. Poi si sono aggiunte tante altre difficoltà. Insomma non potevo star fermo con le mani in mano, dovevo fare qualcosa. Trovare un impiego fisso mi ha cambiato. Il lavoro è una grande cosa, hai un posto tuo, stai tranquillo e dormi fra due cuscini, così puoi inseguire le tue aspirazioni. Questa medaglia è un riscatto del mio passato e la dedico ai miei amici, alle persone care e anche a chi non ci credeva”.
Cosa è lo sport per te?
Daniele: “Lo sport è vita. Ti permette di fare amicizie e di impegnarti con te stesso.
Devi metterti in riga, ma è proprio questo il bello. Quando vedi il tuo corpo trasformarsi e diventare forte gioisci e ti chiedi: ma sono proprio io quello lì nello specchio?
L'importante però è guardarsi dentro e sapere di avere dato il meglio.
Per questo risultato vorrei ringraziare moltissimo l'Unione Italiana dei Ciechi e l'Istituto dei Ciechi di Milano per avermi sostenuto. E poi la mia amica Tamara, che mi ha dato un indispensabile appoggio morale. Se sono riuscito in questa vittoria è grazie alle persone che mi hanno dato fiducia. Questa medaglia per me è la medaglia dell’amicizia”.
Marco Rolando
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