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Baseball

Arjola e il baseball buio, Fulvio in moto senza mani, Andrea campione europeo, Laura in paracadute senza camminare: Invincibili


da Gazzetta dello Sport
- (21 giugno 2011)

Buona tv: Su questo blog troverete cosa è Invincibili ( ) e giustamente molti lo avranno visto. Non mi dilungo, allora. In due parole: storie di persone che hanno superato e superano grandi difficoltà, ma lo fanno bene e sanno farlo sol sorriso;

conduce (bene) Marco Berry;

molte storie nascono dallo sport paralimpico, per questo se ne parla qui. E' il secondo appuntamento (stasera, Italia 1) e lo sport, as usual, c'entra molto, con Arjola, Fulvio, Andrea, Laura e con Roberto Bruzzone, già protagonista della puntata pilota di dicembre e ospite in studio.

Su ognuno di loro ci sarebbe da scrivere ben di più e capiterà. E poi gli interventi di Omar Pedrini, Toni Capuozzo, Erri De Luca. Insomma, da seguire.

Arjola Dedaj La sua storia passa fra l'italia e l'Albania. Era il 21 dicembre del '98, Arj aveva 17 anni ed era su un gommone con il papà e il fratello Elton.

Un'ora e mezza e dalle coste dell'Albania, dove è nata quasi 30 anni fa, era in Italia. Cinque ore di cammino nei campi, Lecce e poi Abbiategrasso, dove era la madre.

La sua vista era già quasi spenta, ma non del tutto ancora.

"Sul gommone guardavo in cielo e vedevo le stelle. Vicino non distinguevo chi c'era di fianco a me". La retinite pigmentosa, scoperta quando aveva tre anni da mamma e papà ("I primi occhiali, ma non servivano a molto, a vent'anni li odiavo, inutili"), ora non gli permette che distinguere luce, buio e qualche macchia indefinita.

All'inizio lavoretti, tipici da clandestina: babysitter ("Amo i bimbi"), operaia ("Doveva smistare scatole colorate, non riuscivo a distinguere i colori e alla fine i miei colleghi mi aiutavano") per due anni, aiuto cuoca ( "Avevo imparato la cucina a memoria. E alla fine al ristorante mi volevano tutti bene, era come una seconda famiglia per me") per altri tre.

Poi ha frequentato un corso di computer all'Istituto per ciechi di Milano, dove ora lavora come guida a Dialogo nel Buio, lo splendido percorso dove sono i ciechi a guidare.

Ama danzare: "Danza caraibica per 10 anni, ma anche danza standard, se avessi possibilità mi piacerebbe gareggiare con normodotati". Ha vinto il campionato italiano, insieme a Salvatore Vitacca, a Rimini nel 2010 e ha partecipato ad "Albania got's Talent", dove è giunta in semifinale.

Ha iniziato a fare sport con il baseball. "Prima solo qualche corsa e palestra. Mi piace. E' uno sport dinamico". Gioca nei Tuoni, con i Lampi una delle due squadre di Milano.

Ci sono altre quattro ragazze: Loredana, Elisabetta, Barbara.

Fulvio Marotto Se iniziasse a sciare seriamente, la Paralimpiade troverebbe un nuovo campione. Ma Fulvio moto ott10 fa altro. E bene. Nel 2003, dopo una tremenda infezione causata da un'influenza trascurata, ha perso tutti e quattro gli arti (ha solo parte della mano) e il naso. Prima di ammalarsi Fulvio faceva il meccanico e tuttora continua a farlo, un po' per necessità (riceve una pensione di invalidità di 250 euro), un po' per passione, perché l'abilità che ha sviluppato in anni di lavoro nella sua officina di Villorba (Tv) gli permette di dedicarsi allo studio e alla costruzione di protesi, che poi lui stesso sperimenta e che gli consentono, non solo di camminare e condurre una vita normale, ma anche di sciare, correre in moto, pattinare.

Andare in moto è più che una passione. Grazie a un accorgimento tecnico, che Fulvio ha brevettato, può guidare pur non avendo mani.

Sui pattini, partecipa alle maratone: scenderà sotto l'ora e mezza potete scommetterci. Un fenomeno.

Andrea Macrì Il sopravvissuto del liceo Darwin di Rivoli. Facile definirlo così. L'11 novembre 2008 a Rivoli Torinese la scuola Darwin è crollata: Andrea viene colpito alle gambe da un tubo in ghisa di 200 chili. Il suo compagno Vito Scafidi muore all'istante davanti a lui, schiacciato dallo stesso tubo.

Dopo tre giorni di interventi chirurgici, Andrea si sveglia e sente un formicolio alle gambe. Ora usa una carrozzina, ma quel formicolio gli dà la speranza un giorno di tornare a camminare (la storia di Rob Summers, sulla Gazzetta qualche settimana fa e che riprenderemo qui, è emblematica).

Da allora segue le lezioni di scuola collegandosi via internet alla sua classe, ogni giorno fa quattro ore di fisioterapia, poi la sera va a scuola: un progetto pilota della regione Piemonte fa arrivare i professori alla scuola ospedaliera del Regina Margherita, dando la possibilità di studiare ai ragazzi ricoverati.

E' un campione. "Non mi servono le gambe per arrivare alla vittoria, la frenesia che ti prende quando vedi che non sei morto e puoi fare ancora un sacco di cose, e poi un angelo che da lassù mi aiuta sempre: sono questi i motori che mi spingono a lottare per la felicità".

Un campione vero. D'Europa. andrea macrì pp Qualche mese dopo l'incidente è entrato a far parte della squadra di Ice Sledge Hockey dei Tori Seduti, mitica società torinese, culla dell'ice sledge hockey, l'hockey su ghiaccio su slittino. Ha raggiunto la nazionale e con la maglia azzurra ha vinto l'Europeo scorso, a Solleftea, in Svezia. Non male per un ragazzo di 19 anni.

"Ci tenevamo abbracciati, cantavamo tutti insieme l'inno di Mameli a migliaia di chilometri dall'Italia, eravamo commossi e anche increduli, guardavamo la nostra medaglia d'oro di campioni d'Europa e ci sembrava di sognare. Io pensavo: come sarebbe bello se ci fosse anche Vito, qui con me, a condividere la mia gioia. È stato lui ad aiutarmi, da lassù, ne sono certo, e continuerà a farlo. Ed è al mio amico che non c'è più, che dedico questa vittoria. Sarei potuto morire come lui, invece sono vivo, ho diciannove anni e tanti sogni nel cassetto ".

Lo sport è stato imprtante. Solo chi non consce lo sport paralimpico potrebbe meravigliarsi di queste parole: "Mi ha aiutato moltissimo, per me è stata la miglior medicina: ho trovato un nuovo mondo, nuovi amici, viaggio di continuo e vedo posti che, senza l'hockey e la scherma, non avrei mai visto:

So che resterò così per tutta la vita e che dovrò soffrire molto, ma cerco di non pensarci: ho delle viti metalliche nella schiena che già adesso mi procurano forti dolori, una protesi al posto di una vertebra. Il tempo per me è prezioso, non voglio sprecare quello che il destino mi ha lasciato, quindi faccio una vita frenetica: frequento la Facoltà di Scienze del Comunicazione e spero, in futuro, di lavorare per il Coni e organizzare manifestazioni sportive;

mi alleno sei volte la settimana, la sera esco con gli amici, guido un'auto con i comandi sul volante e sono autosufficiente.

Vivo a Caselette a una ventina di chilometri da Torino, con i miei genitori e mio fratello, ma a casa vado solo per dormire. Con me all'Europeo c'erano altri quattro piemontesi, tre dei quali con una gamba amputata e il quarto colpito da una poliomielite virale, ma tutti con la mia stessa gioia di vivere: per me sono come fratelli.

Da quasi due anni pratico anche la scherma, avevo cominciato ero ancora in ospedale: ho vinto la medaglia d'argento in una prova di Coppa del mondo di fioretto a squadre vicino a Budapest.

A fine mese andrò in Spagna, a Malaga, e in aprile in Canada. Sono un disabile giramondo. Un disabile che si diverte". Una vita piena, poco spazio alle crisi di sconforto: "Bisogna essere ottimisti: sono un ragazzo fortunato, in fondo, perché non sono morto e mi diverto.

Ho imparato a vivere alla giornata, a riflettere su quello che ho ancora e non su quello che ho perso. Essere disabili non vuol dire essere infelici. Divento triste solo quando penso a Vito, a quel tubo di ghisa che ha spezzato la sua vita. Non si può morire così, a diciassette anni".

Rampini arrivo

Laura Rampini Umbra di Sigillo (Pg), dove è nata 38 anni fa, ora vive a Ravenna con i figli: Luca di 17 anni e Nico di 12.

Prima dell'incidente aveva 22 anni, faceva una vita normalissima: sposata a 19 anni, un negozio d'abbigliamento, un bambino di 14 mesi, appassionata di danza. E' sempre stata appassionata di sport estremo;

voleva fare paracadutismo poiché viveva a Sigillo (PG), alle Pendici monte Cucco, capitale mondiale del volo libero. Sedici anni fa ha avuto un incidente frontale in auto, la macchina proveniente dal senso opposto sbandò in curva.

Laura rimase sette giorni in coma, si risvegliò tetraplegica: muoveva solo gli occhi. Grazie alla riabilitazione ha recuperato l'uso delle braccia e, grazie alla logopedia, è ritornata a parlare.

Suo figlio venne accudito dai nonni. Quando dopo un anno la madre uscì dall'ospedale, non la riconobbe. Lo psicologo raccomandò a Laura di non forzare il figlio e di aspettare.

Una sera a tavola il bambino disse: "ma tu sei mamma!"

Per Laura cominciò una vita nuova. A distanza di 10 anni dall'incidente si è separata, la coppia non ha retto il peso degli eventi. Tuttavia nel frattempo è nato un altro figlio. Laura ha subito 10 interventi e oggi fa lanci con il paracadute a Fano, dove ha trovato due istruttori che hanno creduto in lei. Ha lottato ed è riuscita a ottenere il patentino.

Ha fondato l'associazione liber-HAND-o e organizza a Fano una manifestazione per para-cadutisti (in tandem). Laura e il suo fidanzato attuale, paraplegico anche lui, hanno dato vita al progetto "Liberamondo": guide turistiche per i disabili.

Antonio Altavilla L'unico non sportivo di questo gruppo, ma merita uno spazio.Antonio ha 45 anni, una moglie e due figlie. Vive in provincia di Bari. Al momento, congedato dall'arma, è l'anima trascinatrice dell'associazione Nazionale Carabinieri.

Succede tutto il 12 novembre 2003 alle 10 e 30 di mattina circa a Nassirya: la sera prima il suo compagno di stanza e migliore amico Giuseppe lo convince a rimanere una settimana in più al proprio posto per fare affiancamento ai nuovi arrivati. I due si erano di fatto scambiati i ruoli:

al momento dell'esplosione, Giuseppe stava caricando le proprie valigie su un mezzo per tornare a casa dalla moglie e, da quella posizione così esposta, è morto sul colpo.

Un pesantissimo vetro piombato esplode addosso ad Antonio insieme alle pareti della base "Maestrale". L'esplosione gli squarcia il ventre. Nei giorni successivi, ricoverato nell'ospedale da campo americano, ha continue infezioni, dato che per settimane gli lasciano l'addome completamente aperto per potergli fare gli sciacqui.

Il suo calvario dura dal quel 12 novembre sino al 17 gennaio, giorno in cui viene rimandato a casa.

In mezzo c'è il viaggio, in coma indotto, dall'ospedale da campo americano all'ospedale militare di Ramstein, in Germania, il risveglio dal coma e l'incontro con la moglie, poi il ricovero all'ospedale militare del Celio, a Roma e quello al Policlinico di Bari.

Ora Antonio vive senza un rene e il colon, inoltre ha riportato lesioni al diaframma, ai polmoni, al fegato e a tutto l'intestino, oltre naturalmente a un grave trauma cranico.

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E noi, proprio noi, non solo vediamo il mondo, ma lo guardiamo dai campi di sci sulle montagne più alte, dalle barche a vela su laghi e mari profondi, dai rettangoli di equitazione, dai diamanti di baseball e dai poligoni di tiro con l'arco, dalle piste di pattinaggio e dai circuiti di atletica, e ancora non abbiamo finito!
Non ci servono occhiali per vedere questo mondo meraviglioso, lo vediamo attraverso lo sport!

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