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Campioni sul green anche senza vederlo.
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da Il Corriere Della Sera
di Claudio Arrigoni - (13 agosto 2011)
TERZO TEMPO Dal dramma della disabilità alla rinascita grazie allo sport.
CLAUDIO ARRIGONI.
A volte la vita passa attraverso i paradossi. Chiara: "Il mio swing è migliorato rispetto a quando ci vedevo". Andrea: "Capita che ci inventiamo colpi che un giocatore che ci vede non riesce a fare". Siccome si parla di golf, pensare che due persone cieche possano giocare, e bene, riesce difficile da capire. Ma è così. Chiara, che ha iniziato quando aveva 10 anni e ha perso la vista poco dopo i 60: "Il mio golf è cambiato in meglio, il mio swing il movimento rotatorio del corpo prima di colpire la pallina, ndr è migliorato, ci sono meno problemi di nervosismo, è più automatico". Andrea, che era bambino quando prese la mazza al Golf Club di Rapallo e non ci vede da quando aveva 45 anni: "Mentalmente è più stancante: occorre tenere concentrazione altissima per tante ore, è più difficile". Paradossi straordinari dello sport paralimpico.
La numero 1 Chiara Pozzi Giacosa, milanese, è la migliore giocatrice al mondo "Ai Mondiali ho vinto tutto quello che c'era da vincere: prima nella mia categoria B1, ciechi totali e prima in quella generale, anche con giocatori ipovedenti. Ho battuto anche diversi uomini", un vanto per lo sport italiano. Come Andrea Calcaterra, secondo lo scorso anno ai Mondiali in Inghilterra "Ma la settimana dopo, al British Open, ho sconfitto Zohar Sharon, l'israeliano che mi aveva superato...", pioniere del golf per non vedenti, che grazie a lui in particolare è nato e si sta sviluppando anche in Italia. Lo scorso mese hanno vinto il British Open. Dopodomani saranno all'Open del Canada ad Halifax sino al 17 agosto, quindi si trasferiranno a Columbus, negli Stati Uniti, per l'US Open. Ritorno in Italia, allenamenti, in ottobre l'Italian Open a Tolcinasco, pochi giorni dopo a Rapallo il Torneo internazionale per golfisti disabili. Una vita da professionisti dello sport: "Il golf mi ha dato molto dopo che sono diventata cieca. Sto all'aria aperta, è come se ci vedessi. Un giorno ero in campagna, con mia figlia. Mi ha dato il ferro 8, ho colpito la pallina. Il primo colpo, l'ho preso benissimo. Poi un disastro. Era il 2005, l'anno dopo che era successo il fatto. Ho preso confidenza di nuovo, pian piano, con il campo". Il fatto è un'operazione di chirurgia plastica andata male, un "vezzo" cercato per la prima volta dopo i sessanta, anche se Chiara, bibliofila e coltissima, ha una bellezza e una classe che rifulgono. "Ho passato due anni senza giocare. Pratico una decina di ore a settimana, caddie permettendo".
Fattore umano Il caddie è fondamentale. Ma a fare la differenza è l'atleta. E come Andrea e Chiara sono pochissimi al mondo, anche perché già bravi prima del buio. "Il mio drive è oltre 220 metri, quello di Chiara poco meno. Quando sono in green, vado sulla palla, conto i passi alla buca, tocco la bandierina, torno indietro e stabilisco la distanza. Il caddie muove la bandierina. Sento con i piedi la pendenza del terreno". Andrea a Chiara battono spesso golfisti normodotati. In Canada e Usa avranno caddie nuovi, amici giunti appositamente dall'Italia: Marzia Fossati per Chiara e Attilio Torriani per Andrea, solitamente guidato da Matteo De Marco, un giovane. "Siccome solitamente vinciamo, se non andasse bene sappiamo a chi dare la colpa...", scherza Chiara con l'amica Marzia.
Passione viva Andrea, anche lui milanese, nato nel '52, è stato uno dei migliori giovani in Italia. Poi, dopo la perdita della vista per una malattia della retina nel '98, non ha voluto essere da meno: "La passione rimase intatta. Un aiuto grande venne dalla FederGolf Disabili, da amici e soprattutto da Alessandro, mio figlio". E' stato il suo primo coach e caddie. "Scherzando, agli amici che mi chiedevano che cosa mi mancasse di più, rispondevo: "Il golf". La passione mi convinse che l'unico sport che potevo praticare fosse proprio quello. La domanda che mi posi fu: "Chi mi avrebbe dato retta quando avessi mai preso di nuovo il bastone in mano?" Mio cugino Arturo mi portava ogni domenica a fare pratica. Poi il maestro Ettore Della Torre mi diede lezioni. Incontrai un giorno Roberto Caja, che aveva fondato assieme a Danilo Redaelli la FederGolf Disabili. Da quel momento mi si aprì un mondo"
Claudio Arrigoni
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