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Baseball

Sul Diamante bendati


da Famiglia Cristiana
di Alessandro Micci - (4 gennaio 2014)

Il baseball giocato da ciechi è uno sport ancora poco noto, ma è difficile immaginare quanto bene si possa giocarci senza vedere. Nel 2014 ricorrono i 20 anni da quando è nata la disciplina.

ROMA. «Eravamo sotto di quattro punti: all’ultimo inning stavamo perdendo 7 a 3 e invece abbiamo vinto 8 a 7, una rimonta quasi impossibile e forse la più bella vittoria della stagione. È stata una partita decisa all’ultimo lancio ed era solo la semifinale, arrivati in finale ci sentivamo invincibili». Alfonso Somma, capitano degli All Blinds di Roma, non può dimenticare la semifinale giocata contro i Lampi di Milano, attuali Campioni d’Italia, che ha aperto le porte della finale contro i Thunders 5 di Milano e spianato la strada verso la Coppa Italia 2013.

Siamo sul diamante, così viene chiamato il campo da baseball, ma non è la Major League Usa o lo Yankee Stadium di New York, bensì Bologna dove si sono giocate semifinale e finale della Coppa Italia di quest’anno dell’Aibxc, l’Associazione Italiana Baseball per Ciechi, uno sport nato una ventina d’anni fa. «La prima partita è stata disputata nell’ottobre 1994 a Casalecchio di Reno tra i Bologna White Sox e l’Aquilone Empoli Red Sox. Quest'anno celebriamo il ventennale», dice Alberto Mazzanti, presidente dell’Aibxc, intervenuto a Roma in occasione della premiazione della squadra degli All Blinds per la Coppa Italia appena vinta, nella sala della Protomoteca in Campidoglio. Premiazione voluta dall’Assessore alla Qualità della Vita, Sport e Benessere Luca Pancalli.

Le fasi sono le stesse del baseball classico. È un gioco che nasce dalla volontà di ex giocatori di caratura mondiale come quelli della mitica Fortitudo di Bologna degli anni ’60 e ’70, tra loro in particolare Alfredo Meli, scomparso tre anni fa, che vinse con la Fortitudo tre Scudetti e una Coppa Campioni.

«La prima cosa che fece per adattare il baseball ai non vedenti», continua Somma, «fu quella di togliere il lanciatore perché per noi era impossibile colpire al volo. La palla viene messa in gioco un po’ come nel servizio del tennis, è lo stesso battitore a tenerla con una mano e battere con l’altra, in gergo viene detto “fungare”. La dinamica è molto simile a quella del baseball classico con degli adattamenti, ad esempio la prima base è dotata di un clacson sotto al cuscino per indicare al battitore la direzione verso cui correre. Il giocatore deve aggirare la prima base e dirigersi subito verso la seconda, dove c’è in posizione leggermente arretrata un assistente che batte delle palette di legno sempre con lo scopo di indicare la direzione. L’udito è un senso fondamentale per questo sport. La palla messa in gioco per essere buona deve cadere in una porzione di campo dove sono schierati i difensori della squadra avversaria e all’interno della palla ci sono dei sonagli per aiutare a localizzarla, questi quando la prendono lanciano verso l’unico giocatore vedente che si trova in seconda base e deve riceverla. Le fasi sono le stesse del baseball classico, con le squadre che si alternano in difesa e attacco a ogni inning, si cambia inning ogni tre giocatori eliminati».

Tutti giocano con una mascherina sugli occhi.

«La fase che preferisco è quella di attacco», aggiunge Matteo Salandri, che gioca negli All Blinds, «e in particolare il tratto tra prima e seconda base perché è completamente libero da ostacoli e si può raggiungere la massima velocità. I giocatori hanno tutti una mascherina sugli occhi, sono cioè bendati, questo perché è possibile che alcuni abbiano un residuo visivo maggiore di altri ed è necessario uniformare l’abilità di tutti».

Gli atleti diversamente abili sono prima di tutto atleti. «L’associazione del baseball per ciechi è stata trasferita all’interno della Fibs, Federazione Italiana Baseball e Softball», dice l’assessore Luca Pancalli, nonché presidente del Comitato Italiano Paralimpico, il Cip, durante la cerimonia di premiazione, «e questo è un risultato di cui sono soddisfatto: va sotto il segno di un’attività normalizzante riconducendo le federazioni sportive paralimpiche sotto le stesse federazioni dei normodotati, pur mantenendo la loro specificità. Lo sport è sempre sport, e gli atleti diversamente abili sono prima di tutto atleti. Voi siete l’esempio che quando ci viene data la possibilità di esprimerci nelle nostre disabilità siamo in grado di fare cose inimmaginabili, dimostrando a una società civile spesso disattenta il diritto di tutti a esprimere le proprie possibilità. Così partendo dal nulla avete realizzato qualcosa di grande».

Il campionato italiano è composto da otto squadre.

«Oggi il Campionato italiano è composto da otto squadre e c’è una notevole attività anche a livello internazionale», spiega Mazzanti. «La più grande cosa che avete fatto è stato vivere la vita in modo diverso, ci avete insegnato che non c’è disabilità se non nella testa e che tutto può essere normale».

Gli All Blinds fanno parte della Polisportiva Uici di Roma di cui è presidente Marco Guardati: «Questi ragazzi hanno sacrificato il loro tempo per lo sport», dice, «venendo agli allenamenti con il freddo e con il caldo, sporcandosi di fango, sudando e prendendo l’influenza. A loro e ai volontari va il mio ringraziamento».

Essere allenatore di una squadra così può dare grandi soddisfazioni. C’è anche il punto di vista degli allenatori, rappresentati da Fabio Azzaro, ex giocatore di baseball, che spiega come allenare questi ragazzi sia un’attività di frontiera: «Sul baseball classico c’è un know how e una quantità di letteratura spaventosa, soprattutto dagli Stati Uniti. Per il baseball giocato da ciechi no, e quindi ogni movimento, ogni cosa va inventata e perfezionata, c’è molta sperimentazione dal punto di vista sportivo. Ad esempio, lo stesso movimento di battuta, che normalmente è orizzontale, sta subendo notevoli variazioni: molti giocatori hanno provato un movimento diverso, dall’alto verso il basso, che dà risultati migliori. Inoltre l’udito è fondamentale, eppure allenarlo è difficile, non c’è una tecnica collaudata. Come si fa? Questo è davvero un territorio di frontiera e quello che scopriamo dal punto di vista sportivo può avere delle sinergie con la ricerca per la vita quotidiana, per migliorare la risposta sensoriale. Senz’altro posso affermare che essere allenatore di una squadra così può dare grandi soddisfazioni».

Alessandro Micci

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